Sabrina Mazzaqui

Nata a Bologna nel 1964. Vive e lavora a Marzobotto (BO). Diplomata all’Istituto Statale d’Arte di Bologna nel 1985, e in seguito all’Accademia di Belle Arti di Bologna nel 1993.

Sabrina Mezzaqui riesce, attraverso un processo riflessivo di disciplina autoimposta, a rivitalizzare ed esprimere in immagini e oggetti concreti l’essenziale distacco dalle parole. Il principio della distanza, coltivato nelle stanze segrete di un’intimità che si riflette nelle sue scelte di vita e nei suoi periodi di isolamento e “sospensione”, si riverbera in una pratica – tanto minuziosa quanto compulsiva – dove costruzione e decostruzione si succedono. In tutto il suo lavoro, governato dalle regole non scritte di un rapporto con il mondo filtrato da una dimensione letteraria e diaristica (come una costante sonorità di fondo), emerge la magica concretezza del fare e di una manualità altamente concentrata e iterattiva, seducente nella sua meticolosa aderenza all’apparente semplicità di un segno (o di un gesto) immerso nella sospensione temporale del rito. È quasi un modo per esorcizzare l’ineluttabilità imposta dai ritmi esterni ed esteriori e, al tempo stesso, un richiamo evocativo al “sentire” della memoria.

Nata a Bologna nel 1964. Vive e lavora a Marzobotto (BO). Diplomata all’Istituto Statale d’Arte di Bologna nel 1985, e in seguito all’Accademia di Belle Arti di Bologna nel 1993.

Sabrina Mezzaqui riesce, attraverso un processo riflessivo di disciplina autoimposta, a rivitalizzare ed esprimere in immagini e oggetti concreti l’essenziale distacco dalle parole. Il principio della distanza, coltivato nelle stanze segrete di un’intimità che si riflette nelle sue scelte di vita e nei suoi periodi di isolamento e “sospensione”, si riverbera in una pratica – tanto minuziosa quanto compulsiva – dove costruzione e decostruzione si succedono. In tutto il suo lavoro, governato dalle regole non scritte di un rapporto con il mondo filtrato da una dimensione letteraria e diaristica (come una costante sonorità di fondo), emerge la magica concretezza del fare e di una manualità altamente concentrata e iterattiva, seducente nella sua meticolosa aderenza all’apparente semplicità di un segno (o di un gesto) immerso nella sospensione temporale del rito. È quasi un modo per esorcizzare l’ineluttabilità imposta dai ritmi esterni ed esteriori e, al tempo stesso, un richiamo evocativo al “sentire” della memoria.