Fausto Melotti

Fausto Melotti (Rovereto, 1901 – Milano, 1986) è uno scultore italiano riconducibile all’Astrattismo. La sua opera, caratterizzata da un mutamento percepibile nel corso degli anni, si sviluppa secondo una personale ricerca di uno spazio definito “musicale”, articolato nell’utilizzo di vari materiali tra cui il gesso, il marmo, l’acciaio e il bronzo, ma anche fili metallici e ceramica.
Formatosi a Rovereto, Melotti frequenta i circoli letterari e intellettuali di cui fa parte anche il futurista Fortunato Depero.
Trasferitosi prima a Torino e poi a Milano, Melotti inizia la carriera di scultore intorno al 1922, iscrivendosi nel 1928 all’Accademia di Brera e diventando allievo di Adolfo Wildt e Lucio Fontana. Risalgono a questo periodo i numerosi busti di gusto classico che ritraggono amici e parenti (Ritratto di Fortunato Depero, 1929; Ritratto della madre Albina Fait, 1929-30). L’incontro con l’architetto Gio Ponti nel 1930 determina un avvicinamento sempre maggiore alle potenzialità della ceramica grazie all’impiego presso la prestigiosa manifattura di porcellane Richard-Ginori, dove quest’ultimo lavora.

Melotti si interessa rapidamente a un gusto più moderno, aderendo al movimento parigino “Abstraction-Création” e frequentando i personaggi che ruotano intorno alla galleria Il Milione, tra i cui nomi figurano Lucio Fontana, Josef Albers e Vasily Kandinsky. È proprio al Milione che Melotti nel 1935 ha la sua prima mostra personale.

Durante il secondo conflitto mondiale vive a Roma, dove collabora ancora con Ponti, Figini e Pollini e si dedica anche alla poesia, pubblicando la raccolta Il triste Minotauro nel 1944. Gli anni Cinquanta e Sessanta rappresentano un periodo di nuove ispirazioni che vedono premi e riconoscimenti arrivare dall’estero e, finalmente, anche dall’Italia: nel 1951 Melotti vince il Gran Premio della Triennale e dal 1967 ha inizio una serie di mostre in Italia e all’estero.
Poco dopo la morte dello scultore, nel 1986, la 42° Biennale di Arti Visive di Venezia gli conferisce il Leone d’oro alla memoria.

Fausto Melotti (Rovereto, 1901 – Milano, 1986) è uno scultore italiano riconducibile all’Astrattismo. La sua opera, caratterizzata da un mutamento percepibile nel corso degli anni, si sviluppa secondo una personale ricerca di uno spazio definito “musicale”, articolato nell’utilizzo di vari materiali tra cui il gesso, il marmo, l’acciaio e il bronzo, ma anche fili metallici e ceramica.
Formatosi a Rovereto, Melotti frequenta i circoli letterari e intellettuali di cui fa parte anche il futurista Fortunato Depero.
Trasferitosi prima a Torino e poi a Milano, Melotti inizia la carriera di scultore intorno al 1922, iscrivendosi nel 1928 all’Accademia di Brera e diventando allievo di Adolfo Wildt e Lucio Fontana. Risalgono a questo periodo i numerosi busti di gusto classico che ritraggono amici e parenti (Ritratto di Fortunato Depero, 1929; Ritratto della madre Albina Fait, 1929-30). L’incontro con l’architetto Gio Ponti nel 1930 determina un avvicinamento sempre maggiore alle potenzialità della ceramica grazie all’impiego presso la prestigiosa manifattura di porcellane Richard-Ginori, dove quest’ultimo lavora.

Melotti si interessa rapidamente a un gusto più moderno, aderendo al movimento parigino “Abstraction-Création” e frequentando i personaggi che ruotano intorno alla galleria Il Milione, tra i cui nomi figurano Lucio Fontana, Josef Albers e Vasily Kandinsky. È proprio al Milione che Melotti nel 1935 ha la sua prima mostra personale.

Durante il secondo conflitto mondiale vive a Roma, dove collabora ancora con Ponti, Figini e Pollini e si dedica anche alla poesia, pubblicando la raccolta Il triste Minotauro nel 1944. Gli anni Cinquanta e Sessanta rappresentano un periodo di nuove ispirazioni che vedono premi e riconoscimenti arrivare dall’estero e, finalmente, anche dall’Italia: nel 1951 Melotti vince il Gran Premio della Triennale e dal 1967 ha inizio una serie di mostre in Italia e all’estero.
Poco dopo la morte dello scultore, nel 1986, la 42° Biennale di Arti Visive di Venezia gli conferisce il Leone d’oro alla memoria.